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La storia dell’uomo è imbastita di lotta: lotta dentro di sé, lotta con gli altri, con gli animali, con la natura e lotta con Dio. In quest’ultimo caso c’è una lotta dissacrante quando l’uomo vuole vincere Dio, ma c’è anche una lotta sostenuta che grida aiuto a Dio. Il dipinto ci parla di un’altra lotta: è Dio che fa lotta con l’uomo e questa volta è una lotta positiva: quella ferita che porta nella carne sua e della sua discendenza, è il segno evidente della benedizione di Dio.
Giacobbe, lasciato la casa del suocero Labano, è in viaggio verso la sua terra. In Genesi 32, 23-33 leggiamo: “Durante quella notte egli si alzò, prese le due mogli, le due schiave, i suoi undici bambini e passò il guado dello Iabbok. Giacobbe poi rimase solo e un uomo lottò con lui fino allo spuntare dell’alba. Quegli, vedendo che non riusciva a vincere Giacobbe, gli colpì e l’articolazione del femore e gli disse: «Lasciami andare, perché è spuntata l’aurora». Giacobbe rispose: «Non ti lascerò, se non mi avrai benedetto!». Lo sconosciuto riprese: «Non ti chiamerai più Giacobbe, ma Israele, perché hai combattuto con Dio e con gli uomini e hai vinto!». E qui lo benedisse. Allora Giacobbe chiamò quel luogo Penuèl: «Davvero – disse – ho visto Dio faccia a faccia, eppure la mia vita è rimasta salva». Spuntava il sole, quando Giacobbe passò Penuèl e zoppicava all’anca.


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Santuario San Nicodemo di Mammola - Diocesi di Locri-Gerace - Monte Lìmina
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